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“Allineiamoci sulla delivery e assicuriamoci che la value proposition sia chiara per il cliente…” Quante volte ti è capitato di sentire frasi del genere, magari in una riunione dove tutti annuivano con aria seria? Sembra che qualcuno abbia acceso la modalità “business mode” e via, tutti a parlare come se fossimo in un episodio di Suits.
Ma ammettiamolo: dietro queste parolone che suonano così professionali c’è un problemino non da poco. È come se i professionisti della consulenza aziendale avessero inventato un dialetto extraterrestre, un codice segreto che ti fa entrare in un club esclusivo solo se sai usarlo. Se lo capisci, sei uno di loro, e magari ti senti pure un po’ importante; se invece ti perdi tra “delivery” e “value proposition“, ti guardano come se fossi appena atterrato da Marte senza sapere cos’è una cravatta. Parole come “leverage“, “synergy” o “disruption” non sono solo modi più carini per dire “facciamo meglio con quello che abbiamo” o “scombussoliamo un po’ le cose per migliorare“. No, sono tipo le armi segrete della consulenza aziendale, quelle che li fanno sembrare supereroi del business! Dici “sinergia” e tutti annuiscono, anche se magari nessuno ha capito davvero di cosa stai parlando. È un trucco geniale: ti fanno sentire parte di una squadra esclusiva, un po’ come gli Avengers delle riunioni, mentre chi non sta al gioco resta fuori, a guardare con un punto interrogativo sulla testa. E il bello è che non serve nemmeno spiegare troppo: basta buttare lì un termine figo e sembri subito un guru della consulenza aziendale, pronto a fatturare migliaia di euro per un PowerPoint.
Il Linguaggio Esclusivo nella Consulenza Aziendale
Diciamocelo senza giri di parole: il linguaggio della consulenza aziendale sembra proprio quello di una setta un po’ bizzarra, di quelle con rituali strani e codici misteriosi. Se non sai piazzare “agile” o “scalability” al momento giusto, ti guardano con quel sorrisetto di superiorità , come a dire “torna quando hai studiato, pivello“. È un po’ come il latino dei preti di una volta: serve a fare scena, a creare un alone di mistero e a tenere tutti gli altri a debita distanza. E non è solo una questione di apparenza: queste parole creano una barriera vera e propria.
È come se chi le usa avesse una bacchetta magica per risolvere i problemi aziendali (o almeno per far credere di averla). Ma c’è di più: questo gergo non solo ti fa sentire escluso, ti mette pure in un angolo. Se non parli la lingua della consulenza aziendale, sei “fuori” dalle discussioni che contano, dalle riunioni dove si decide tutto, e ti senti un po’ come quell’amico che arriva alla festa quando ormai sono finite le pizzette. È un’esclusione silenziosa ma efficace: o ti adegui e impari a dire “KPI” senza ridacchiare, o ti ritrovi a fare lo spettatore mentre gli altri giocano a fare i capi. Ti senti “qualcuno” solo se stai dentro quel piccolo mondo di parolone, ma fuori? È come essere un turista senza guida in una città dove nessuno parla la tua lingua, e il manuale della perfetta consulenza aziendale non te lo regalano all’ingresso.
Parole Tecniche nella Consulenza Aziendale
E poi c’è il lato quasi divertente di tutta questa storia: con il linguaggio della consulenza aziendale, anche le cose più brutte sembrano quasi carine. Non stai licenziando qualcuno, stai facendo “right-sizing” – e diciamolo, suona così assurdo che quasi fa ridere, no? Le dimissioni diventano “off-boarding“, come se stessi salutando tutti con un sorriso mentre scendi da una nave da crociera di lusso. E dietro termini come “agile workforce” si nascondono realtà meno poetiche, tipo contratti precari o partite IVA che di autonomo hanno ben poco. “Bottom quartile“? È solo un modo elegante per dire “questi non rendono, via dal mio radar“. È come se avessero inventato un filtro magico per la realtà : metti una parola tecnica e puff, tutto sembra più morbido, più accettabile, quasi innocuo.
Ma sotto sotto, il succo non cambia: è solo un trucco per rendere le decisioni pesanti un po’ più leggere, almeno a parole. Chi usa questo gergo nella consulenza aziendale riesce a tenere le emozioni a distanza, trasformando scelte che coinvolgono persone in freddi passaggi tecnici. E mentre lo fanno, si tengono ben lontani dalle conseguenze, come se dire “right-sizing” cancellasse il fatto che qualcuno sta per perdere il lavoro. È un gioco di prestigio linguistico, e i consulenti aziendali sono i maghi che lo eseguono con un sorriso impeccabile e un tariffario da capogiro.
La Mia Esperienza con le PMI: Comunicazione Semplice
Io, onestamente, questo linguaggio da consulenti spaziali, guru della fuffologia, l’ho sempre schivato come si evita un raffreddore a Ferragosto. Lavorando con le piccole e medie imprese, ho capito una cosa semplice ma vera: a loro piace parlare chiaro, senza troppi fronzoli, tipo “pane e salame“. Niente “leverage” o “disruption“, ma cose concrete come “facciamo così e vediamo i risultati“. E indovina? Funziona da matti! È proprio da questa idea che sono nati progetti come le scatole” e i giochi seri Ain’t a Game, strumenti pensati per rendere facili anche i concetti più complessi e teorici, senza bisogno di fare i fenomeni con parolone inutili.
Per me, comunicare è un po’ come invitare qualcuno a prendere un caffè: deve essere semplice, diretto, e lasciare un buon sapore. Non serve costruire castelli di parole che crollano al primo “ma che stai dicendo?“. Le PMI me l’hanno insegnato: se parli la loro lingua, ti ascoltano, si fidano, e alla fine lavori meglio. La comunicazione nella consulenza aziendale dovrebbe essere un ponte che ti porta dall’altra parte, non un muro che ti lascia fermo a grattarti la testa. E sinceramente, spiegare qualcosa di complicato con chiarezza vale più di mille termini astrusi buttati lì per fare scena. Lavorare con le PMI mi ha fatto capire che il vero valore non sta nel gergo altisonante, ma nel costruire fiducia con parole che tutti possono capire, senza bisogno di un master in “consulenzese” per decifrarle.
Consulenza Aziendale: Costruire Ponti, Non Muri
Altro che “mindset sfidante“, che spesso è solo una scusa per vendere aria fritta con un sorriso smagliante! La vera rivoluzione nella consulenza aziendale sarebbe smettere di fare i misteriosi e chiamare le cose col loro nome, punto. Italo Calvino l’aveva capito secoli fa: il linguaggio complicato è un modo per nascondere, non per spiegare. Il gergo della consulenza aziendale può creare un mondo a parte, una bolla dove si capiscono solo loro, ma a che serve se poi fuori da quella bolla nessuno ti segue?
Molliamo ‘sti termini da astronauti e usiamo parole normali, che uniscono, che fanno venir voglia di chiacchierare anche davanti a una birra o un aperitivo. Abbattiamo i muri del linguaggio e costruiamo un mondo dove ci si intende senza bisogno di un traduttore simultaneo o di un manuale per consulenti sotto il braccio. È più semplice, più umano, e – diciamolo – pure più divertente! Perché alla fine, comunicare nella consulenza aziendale non dovrebbe essere una gara a chi usa la parola più strana, ma un modo per stare tutti sulla stessa lunghezza d’onda, magari ridendo ogni tanto di quanto ci siamo complicati la vita da soli. Basta con le barriere da “élite del business“: puntiamo su una comunicazione che sia un invito a collaborare, non un test di ammissione per pochi eletti.